Ucoarte. Revista de Teoría e Historia del Arte, 12, 2023, pp. 73-92, ISSN: 2255-1905
IL CAPOLAVORO DELLA VISTOSA GALLERIA PITTO-POETICA
DI DON LUIS CARRILLO Y SOTOMAYOR
ALICE MIGOTTO
Investigadora independiente (Venecia, Italia)
Fecha de recepción: 01/03/2023
Fecha de aceptación: 29/08/2023
Riassunto
Don Luis Carrillo y Sotomayor, nella sua Décima (stupendo quadro poetico), riesce a
mostrare in versi il senso profondo delle locuzioni latine: ut pictura poesis e concordi lumine
maior e, allo stesso tempo, elevare la bellezza umana della sua dama a magnificenza
celestiale grazie a sfumature pittoriche singolari accompagnate dal gusto descrittivo
neopetrarchesco. Perfetta rappresentazione del genere del ritratto “a lo divino” in
poesia, questa decima è più di una tavolozza di colori: è un gioiello che unisce arte e
letteratura.
Parole chiave
Amore; Poesia; Pittura
LA OBRA MAESTRA DE LA VISTOSA GALERÍA PICTO-POÉTICA DE
DON LUIS CARRILLO Y SOTOMAYOR
Resumen
Don Luis Carrillo y Sotomayor, en su Décima (estupendo cuadro poético), consigue
mostrar en verso el sentido profundo de los tópicos: ut pictura poesis y concordi lumine maior
y, al mismo tiempo, ensalzar la belleza humana de su dama a hermosura celestial gracias
a matices pictóricos únicos de gusto neopetrarquista. Perfecta representación del género
de retrato “a lo divino” en poesía, esta décima es más que una paleta de colores: es una
joya que aune arte y literatura.
Palabras clave
Amor; Poesía; Pintura
THE MASTERPIECE OF THE COLOURFUL PICTO-POETIC GALLERY
OF DON LUIS CARRILLO Y SOTOMAYOR
Abstract
Don Luis Carrillo y Sotomayor, in his Décima (stupendous poetic painting), succeeds
in showing in verse the profound sense of the Latin locutions ut pictura poesis and
concordi lumine maior and, at the same time, elevating the human beauty of his lady to
celestial magnificence thanks to singular pictorial nuances accompanied by neo-
Petrarchan descriptive taste. A perfect representation of the genre of the portrait 'a lo
divino' in poetry, this decima is more than a palette of colours: it is a jewel that unites
art and literature.
Keywords
Love; Poetry; Painting
Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
A don Luis Carrillo Sotomayor y a su Musa,
que tan me han inspirado.
Immortalia ne speres monet annus et almum quae rapit hora diem
“Non sperare nelle cose eterne,
ti ammoniscono l’anno e l’ora che portano via il giorno luminoso“
Horacio, Odi, IV, 7, 7-8
“Mas aunque más consuma,
tiene contra la edad nervios la pluma“ (v.36)
Carrillo y Sotomayor, Dedicatoria a doña Gabriela de Loaysa.
Introduzione
La Décima di don Luis Carrillo y Sotomayor al pittore Pedro Raxis «para que copie el
retrato de una deuda suya» (vale a dire di doña Gabriela de Loaisa) è un perfetto esempio di
opera del genere del ritratto “a lo divino” in poesia.
Questa composizione è stata pubblicata per la prima volta in forma inedita nel libro di
Emilio Orozco Díaz Amor, poesía y pintura en Carrillo y Sotomayor grazie a don Antonio
Rodríguez Moñino che ha segnalato l’esistenza del manoscritto (il cui codice è B2438) nella
Biblioteca della Hispanic Society of America e l’ha consegnata al ricercatore di Granada
affinchè la pubblicasse e ne scrivesse una prima analisi.
La composizione
1
, secondo Orozco, non era presente nell’antologia poetica edita nel
1611 da don Alonso Carrillo; un poema di estrema bellezza e poco studiato che si conserva
in un manoscritto di sei pagine che fece probabilmente parte di una raccolta più ampia di
poesie proveniente dalla collezione di libri e manoscritti rari del Marchese de Jérez de los
Caballeros; collezione acquistata nel 1902 da Archer Milton Huntington, fondatore della
società ispanica di New York.
La prima cosa da notare è che questa decima è un elogio della bellezza della dama, ma
anche dell'arte della pittura, infatti, la composizione inizia con l’esaltazione dell'abilità del
pittore nell'usare il pennello per dare vita a opere che sembrano reali e così credibili nella loro
imitazione della realtà.
Il primo nome che compare è quello del pittore e doratore Pedro de Raxis (1555-1626),
un eccellente pittore granadino (come lo definisce Carrillo nel titolo della Décima) di origini
sarde che aveva un'importante bottega nella città di Granada e che era considerato uno dei
1
Desidero ringraziare John O'Neill, membro della Hispanic Society, per avermi spiegato il perché la poesia
citata da don Antonio Rodríguez Moñino si troverebbe nella biblioteca americana e per avermi suggerito
l'ipotesi che la decima potesse far parte di una una raccolta più ampia di poesie. La decima si troverebbe in un
manoscritto di sei fogli, forse il frammento di uno più ampio, proveniente dalla biblioteca del marchese Jérez
de los Caballeros e acquistata nel 1902 da Archer Huntington, fondatore della Hispanic Society. Tuttavia, è
interessante notare che nel catalogo della Biblioteca di Manuel Pérez de Guzmán pubblicato nel 1901, è
registrata la presenza di due libri delle opere di don Luis Carrillo y Sotomayor: il primo pubblicato nel 1611 da
Juan de la Cuesta dove, come ha spiegato Orozco, non è presente il componimento a Ragis, e quello di Luis
Sánchez pubblicato nel 1613 sulla base della prima edizione dove la decima non compare nemmeno. Il marchese
aveva libri stampati e manoscritti (anche copie quando non riusciva nella loro acquisizione) provenienti da altre
collezioni come quella di Robert Samuel Turner e quella di Sancho Rayón (O'Neill (p.334) che poteva vantare
numerosi manoscritti poetici del XVI-XVII secolo. È possibile allora che la decima sia stata acquisita (in
originale o in copia dal marchese) come singolo poema?
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Alice Migotto
migliori artisti della città andalusa del suo tempo
2
. A questo artista, conosciuto anche con il
soprannome di “padre de la estrofa” ovvero grande maestro di questa particolare tecnica che
consisteva nel decorare immagini sacre in legno con lamine d’oro poi dipinte, forse
veramente fu dato l’incarico di realizzare un ritratto della nipote di Martín Jofre de Loaisa e,
probabilmente, fu dipinto pochi anni prima del matrimonio di doña Gabriela con don Juan
Pedro Veneroso nel 1604 (Orozco, 1968).
Purtroppo, non esistono prove materiali di questo dipinto, ma grazie alla bellezza dei versi
evocativi, ecfrastici e molto descrittivi della decima, si può tentarne una parziale
ricostruzione, grazie alla voce lirica del poeta che accompagna il pittore e i lettori nella
rappresentazione mentale della protagonista del poema; Carrillo mostra come abbia dipinto
nella sua mente una perfetta e idealizzata figura dell'immagine che Ragis dovrebbe realizzare
sulla tela. Non è quindi la descrizione di un'opera finita quella che viene poeticizzata ma,
attraverso i suggerimenti che il poeta all'artista, l'idea mentale da cui partire per la
rappresentazione figurativa in chiave angelica della sua musa ispiratrice. La cosa incredibile
di questa décima è che il lettore, leggendo i versi, non solo dipinge nella sua immaginazione
la figura che Ragis dovrà creare sulla tela (o sulla tavola) ma, e questo è l'aspetto più
sorprendente della décima, partecipa all'atto stesso della creazione di un'opera d'arte.
Dal punto di vista della forma, la décima contiene ventitré strofe, ognuna formata da dieci
versi ottosillabi con schema metrico: ABBAACCDDC. Questa espinela (o décima) si divide
in due parti: la prima, dalla strofa I alla XX, nella quale il pittore viene esortato e consigliato
nella realizzazione di un ritratto nella figura dell'Arcangelo Gabriele della più bella donna di
Granada; e la seconda, dalla strofa XXI alla XXIII, nella quale non c‘è solo un chiaro elogio
della bellezza della donna, ma una vera e propria dichiarazione d'amore.
La décima
Il poeta inizia la décima con uno dei migliori elogi che si possano fare ad un pittore, vale
a dire lodando la sua abilità con il pennello nell’imitare la realtà in modo così verosimile da
ingannare persino i sensi. Ragis non imita Apeles, figura che molti poeti del secolo hanno
preso come modello di paragone per mostrare l'eccellenza dei pittori loro contemporanei,
ma la Natura stessa grazie alla sua “su arte, industria y la viveza“ (v. 4). Un tema, quello della
pittura che sconfigge la Natura, che è stato ampiamente utilizzato nel Secolo d'Oro da poeti
come Jáuregui, Lope de Vega, Góngora, Herrera e persino Quevedo che, nel suo poema «El
pincel» (1611-1619) riesce a «recrear una realidad paralela» in cui la pittura osa, con la sua
perfezione, competere con la natura (Cacho:2012).
«Tú, si en cuerpo pequeño,
eres, pincel, competidor valiente
de la naturaleza; hácete la arte dueño
de cuanto vive y siente.
Tuya es la gala, el precio y la belleza».
“El pincel (vv. 1-5)
In Carrillo, la bravura dell'elogiato sembra così indiscutibile che, vedendo le sue
composizioni, anche la capacità della mente vacilla e dubita di ciò che vede, come se Dio
stesso, "el Pintor soberano" (v.9), intervenisse nell'arte di Ragis per dare ai suoi dipinti il
respiro della vita. Il compito che il pittore deve svolgere questa volta potrebbe essere però
ancora più arduo del creare un semplice ritratto, perché non solo deve rappresentare tutta la
bellezza divina della donna, ma deve anche dipingerla come se fosse l'arcangelo Gabriele che
annuncia il Messia. Fernando López (1995) scrive che “Gabriel, el arcángel conocido como
2
Per ulteriori informazioni sulla vita e le opere di questo pittore e doratore, si consiglia la lettura dell'articolo di
Lázaro Gila Medina (2003).
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Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
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"la fuerza de Dios", aparece en el Antiguo y en el Nuevo Testamento en misión de nuncio o
enviado. En su iconografía habitual aparece anunciando la venida de Cristo“.
Ma è nella seconda strofa che il poeta rivela che ci troviamo davanti ad una poesia del
genere di ritratto “a lo divino“, chiedendo all’artista di dipingere una figura religiosa “con el
aire y gallardía / de la más hermosa dama“ (vv. 17-18) e che abbia lo stesso nome della donna
ritratta, cosa molto frequente e caratteristica di questo tipo di composizioni pittoriche
dell‘epoca. Inolte, Ragis non deve dipingere la donna come una santa, martire o vergine bensì
come un angelo, figura divina che nei dipinti del Secolo dell’Oro veniva spesso raffigurata
con il volto e i tratti di giovani donne; cosa che non sempre riscontrava il parere positivo dei
trattatisti dell’epoca, che preferivano che le figure alate fossero più simili ai ragazzi.
In Adiciones a algunas imágenes, Pacheco (XI, 475) seguendo il decoro e l’equilibrio tipici
dell’arte della Controriforma afferma:
"muchos pintores usan hacer en ellos [se refiere aquí a los ángeles] figuras y rostros de
mujeres, no solo adornadas las cabezas con rizos y trenzas feminiles en los cabellos, sino
también en pechos crecidos, cosa indigna de su perfección".
Ad ogni modo, bisogna tenere in considerazione che ancora non esisteva un codice
normativo specifico per le rappresentazioni religiose nel periodo in cui ha vissuto Carrillo y
Sotomayor, al contrario, c’era uno stile impregnato sia dall’influenza rinascimentale che dallo
stile barocco che stava prendendo piede. La scelta del poeta di raffigurare la dama in chiave
angelica segue un gusto e una moda frequenti, che trovano conferma in alcuni dipinti
devozionali di Granada
3
e in altri poemi dell'epoca.
Dalla quarta strofa il poeta inizia a suggerire al pittore come realizzare l’immagine
attraverso imperativi presenti in tutta la décima. Ad esempio, espressioni come “No traces
ni hagas [...]“ (v. 21), “Fórmale“ (v. 41), “Deja“ (v. 51), “Haz“ (v. 101), che solitamente si
trovano all’inizio delle strofe, sono proposte che Carrillo fa a Ragis e che permettono al
lettore di ricreare con la fantasia un’immagine che si delinea gradualmente con il procedere
dell’atto stesso della creazione plastica nel poema. Inoltre, questi imperativi sono il riflesso
di una forma definita “consejo al pintor“, precedentemente utilizzata da altri autori di poesia
ritrattistica della tradizione antica e ripresa con varie declinazioni in Francia e in Italia
(Gargano, 2012:64). Questo movimento, secondo Federica Pich, è “una lettura dell'immagine
che precede l'immagine stessa e al contempo la trascende“ (Pich, 2010: 256); in Spagna
possiamo trovare un buon esempio del suo utilizzo nel sonetto di Herrera “S'intentas imitar
mi luz hermosa“, ma contrariamente a ciò che dice Carrillo con la sua décima, come spiega
Orozco Díaz, il poeta di Siviglia non “precisa nada en concreto de actitud, movimiento o
gesto de la amada“ (Orozco, 1968: 169).
Nel poema di Carrillo l’immagine inizia ad essere creata e il pittore viene avvertito di
prendere sempre la donna come modello e riferimento per la creazione di un'opera che non
verrà mai perfettamente come l'originale. Forse, solo dopo un grande sforzo il genio artistico
riuscirà a imitare “en parte/ su belleza celestial“ (vv. 29-30): la bellezza di doña Gabriela.
La descrizione fisica è una costruzione estetica che parte dai consigli che don Luis
Carrillo da a Ragis, iniziando dai capelli, che il pittore deve fare color oro, rispettando le
caratteristiche dello stereotipo della bellezza angelica secondo il codice descrittivo
petrarchesco. È fondamentale chiarire che la maggior parte dei colori che il pittore utilizza
appartengono al mondo della natura e il pennello cattura le sfumature degli elementi più
luminosi e belli presenti nell'ambiente naturale mescolandoli nella sua tavolozza e creando
3
Vedi Orozco (1968:142), quando spiega che, nella volta della chiesa parrocchiale di los Santos Justos y Pastor,
ci sono figure alate dipinte con volto femminile.
Alice Migotto
nuove tonalità. In questo caso, il pittore deve rubare l’oro dai capelli di Apollo per ricreare i
biondi capelli della donna.
Molti altri poeti aurei descrissero i capelli della dama cantata come lunghe ciocche dorate
e scintillanti, lo stesso Fernando de Herrera nel suo sonetto scrive “[...]las hebras, esparcidas
por el cuello, qual oro en hilos vuelto“ (II, Canción I). Carrillo y Sotomayor riprende
l’immagine seducente dei capelli, ma afferma “del oro las hebras deja“ (v. 32) utilizzando in
questo modo una tecnica concettuale alla quale ricorre altre volte nel testo e che,
precisamente, consiste proprio nel rifiutare le suddette espressioni figurative per “ascender
aún más en el encubrimiento hiperbólico“ (Orozco, 1968:174), dando così ancora più
importanza alla figura attraverso una negazione.
La destrizione dei biondi capelli della donna ritratta è seguita dal paragone con i raggi
del sole, che rende, con maggior enfasi, l’idea di luminosità che proviene dalla donna “que
rayos quiero que sean/ de luz [...]“ (vv. 37-38). È importante sottolineare il fatto che mettere
in relazione l’oro, il sole e l’idea di luminosità non era una novità nella poetica del Secolo
d’Oro, perchè le tre immagini sono strettamente correlate tra loro e si riferiscono tutte alla
dottrina neoplatonica (Salinas, 2019). Perciò, usando le parole di Salinas: “Si la luz es sello y
manifestación del amor, el oro, metal de luz por excelencia, será aquel elemento de la
naturaleza, donde con más fuerza se manifieste, en forma de resplandor, la capacidad de
atracción, la fuerza magnética de la belleza de la dama, de su alma luminosa“ (Salinas,
2019:315).
Nella quinta strofa è presente un‘altro ingegno cultista, il poeta gioca con due
espressioni: il termine “rizado“ (v. 41) e “hace riza“ (hacer riza) che hanno rispettivamente
origini etimologiche diverse (v. 42). Il primo vocabolo si riferisce alla tipologia di capello o
acconciatura, e il secondo, al contrario, significa “destrozo o estrago que se hace en una cosa“
(DLE), e proprio con questa parola Carrillo riesce abilmente a creare un’analogia semantica
con la “red“ (v. 43) del verso seguente, che è una perfetta metafora dei biondi ricci della
donna, poichè la rete è un “qualunque oggetto, di qualsiasi materiale costituito da un intreccio
di maglie“ (Garzanti, 1994).
L’immagine della rete non è una novità nella poetica dell’epoca, ma in questa decima non
acquista più il semplice significato di trappola amorosa: "la red en que fui preso y enlazado"
(Salinas, 2019) ma (implementando un’altra tecnica concettuale) è il luogo del piacere degli
amanti più rinomati della mitologia greca: Venere e Marte. In questi versi, attraverso il
concetto della rete, la descriptio della bionda chioma dalla figura femminile si intreccia
esplicitamente con l’immagine mitologica del leggendario Vulcano, che scoprendo gli amori
della sua bella moglie bionda, la bella dea Venere, con Marte, catturò entrambi gli amanti
nella sua rete.
Gli ultimi versi della quinta strofa iniziano a delineare gli ornamenti che la figura dovrebbe
avere e che ricordano molto le ricchezze che abbelliscono anche le sante dipinte da Zurbarán
(si pensi a: Santa Casilda, Santa Úrsula o Santa Isabel de Portugal). L'Arcangelo Gabriele su
tela dovrebbe portare una ricca ghirlanda composta da gemme lucenti e le gemme
dovrebbero includere rubini e smeraldi.
Lomazzo (1584) scriveva riguardo le pietre preziose con cui si devono adornare gli angeli
"Anzi piú per il colore e per la trasparenza e perfezione loro [...] giudico che non possa essere
altra cosa più atta di loro per le virtù Angeliche" (Lib. VI, cap. 59).
La realizzazione del personaggio continua con la pittura della fronte che non può essere
fatta con i semplici e scuri "colores del suelo" (v. 51) ma con il bianco del cielo. L'artista, per
ritrarre una figura così elevata, non potendo utilizzare le consuete tonalità di colore e non
potendo affidarsi alla comodità dei colori in tubetto, deve quindi cimentarsi in una vera e
propria impresa con il suo coraggioso pennello per creare nuovi riempimenti dove la tonali
del cielo si mescola al bianco della Via Lattea, dando così vita a un pigmento che esprime
perfettamente l'idea di serenità e candore dell'incarnato angelico di doña Gabriela.
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Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
Bisogna notare che la comparazione della fronte della donna al cielo sereno è un motivo
petrarchesco ricorrente “pche 'l ciel serena“(Rvf, 220, v. 8) e utilizzato (alle volte parodato)
da molti altri poeti (Muñiz, 2014:178).
In seguito, nella strofa sette, si passa alla rappresentazione delle sopracciglia, che il pittore
deve realizzare come fossero due bellissimi iris in “este cielo menor” (v. 63). Questa
espressione può assumere due significati: se interpretata in modo genetico, richiamerebbe
l’antico tema greco che vedeva l’uomo come un piccolo mondo e la donna come un piccolo
cielo
4
; altrimenti, facendo una lettura più specifica e contestualizzata, il cielo minore è la
metafora perfetta per riferirsi alla fronte della donna su cui vanno tracciate le due
sopracciglia-fiore. Queste possono offrire pace e serenità ma, sorprendentemente, hanno
anche la capacità di mutare e trasformarsi in archi che lanciano frecce.
Ciò che si evidenzia in questi versi è ancora una volta la capacità dell'autore di utilizzare
metafore concettuali che ricreano visivamente l'immagine della parte della figura descritta,
tanto più se, come in questo caso, si tratta di un aspetto importante come le sopracciglia, che
sono indicatori determinanti nel riflettere l'interiorità del personaggio attraverso la mimica
facciale e rendere così la figura viva e mutevole. È meglio dipingere la donna in tutta la sua
bellezza per non offendere la sua figura e ciò che rappresenta, e per non trasformarla in una
creatura vendicativa.
Gli aspetti descrittivi che si riferiscono alla vista sono fondamentali in questa
composizione e seguono da vicino le idee petrarchesche di potenza e forza dello sguardo.
Prima di disegnare gli occhi, il poeta, come un nuovo Virgilio, avverte il pittore che deve
stare attento a non diventare cieco quando copia le “dos niñas verdes “(v. 3) della figura
ovvero gli occhi della protagonista ritratta. L'impossibilità di fissare lo sguardo sulla donna
ritratta è un tema presente sia in autori italiani che spagnoli
5
, sempre nel suo “Si intentas
imitar mi luz hermosa“ Fernando de Herrera scriveva:
“[...] que si no te atraviesa el duro dardo
de su vista dichoso y atrevido,
dar podrás muestra alguna de esta suerte.“
(vv. 12-14)
Il pennello è l’elemento fondamentale di questa opera e accompagna il pittore nella sua
impresa, la sua importanza si nota fin dall’inizio della décima, ma è solo al verso 53, quando
l’aggettivo coraggioso viene accostato al termine pennello, e soprattutto nella strofa VIII
dove viene personificato lo strumento dell'artista, che questi quasi prende vita grazie a
quell'umano “alienta“ (v. 71) presentando anche che viene presentata l'idea dello stretto
rapporto che esiste tra il creatore e il suo strumento per la realizzazione di questa difficile,
audace e rischiosa sfida artistica.
Per quanto riguarda lo sguardo della donna, seppur sulla tela, si presenta forte come un
sole capace di accecare l’osservatore, però, come spiega Carrillo y Sotomayor (richiamando
una visione molto neoplatonica) questo sguardo “admira, eleva, no daña” (v. 80). L’artista
deve tuttavia ricorrere ad alcune strategie per rappresentare lo sguardo della donna, nel quale
ricerca corrispondenza il poeta quando afferma “luz de mi esperanza propia” (v. 74) e “mas
dichoso aquel que sabe/ que le ha cabido tal suerte” (v. 89-90), ovvero applicare tecniche
pittoriche come l’ombreggiatura o il chiaroscuro.
4
“La dama es un pequeño cielo y el hombre es un pequeño mundo” era un tema della filosofia greca ed è stato
utilizzato da altri autori, in particolare da Calderón de la Barca in molte delle sue opere, come: La vida es sueño,
El hombre pobre todo es trazas, En esta vida todo es verdad y todo mentira...
5
Vedi Gargano (2012).
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Alice Migotto
Nel libro Poesia e ritratto nel Rinascimento, Laura Bolzoni presenta alcuni poemi di autori
italiani del XVI secolo, che per risolvere il problema dello sguardo “peligroso” della donna
ritratta, suggeriscono all’autore di applicare strategie di protezione come, per esempio, la
rappresentazione della donna con gli occhi chiusi: una non-rappresentazione che è anche
“alternativa alle precauzioni da prendere per fronteggiare i rischi della bellezza” (Bolzoni,
2008). Carrillo y Sotomayor, tuttavia, non è così estremo e, nonostante metta in evidenza il
potere attrattivo della figura ritratta, chiede al pittore di raccogliere “su honesta vista” (v.81),
facendo attenzione all’estremo decoro che caratterizza l’immagine, non solo di donna onesta
ma anche tenendo conto della sua rappresentazione religiosa e devozionale.
Mano a mano che si costruisce il ritratto, il poeta approfitta di questa doppia figura di
donna e di angelo per mescolare anche due ruoli differenti: quello della dama petrarchesca,
che eleva per la sua bellezza esteriore e interiore, e l’immagine dell’arcangelo che ha la
funzione di elevare il suo fedele devoto e avvicinarlo alla deità. Ricorderete le parole di San
Juan de la Cruz quando, in riferimento, riferito ai dipinti devozionali, afferma “El uso de las
imágenes para dos principales fines [...] para reverenciar a los santos en ellas, y para mover la
voluntad y despertar la devoción por ellas a ellos” (Lib.3, CXXXV). Perciò, tanto il verso
"Almas y vidas conquista” (v. 85), come quel “enseña, deleita y muere” (v. 1117), potrebbero
far riferimento sia alla musa ispiratrice di Ragis, così come all’arcangelo Gabriele.
La descrizione e la creazione della figura prosegueno con le guance che devono essere
colorate con tonalità tendenti al rosa o al rosso, che il pittore può trovare solo nel sole, nelle
nubi al tramonto o nelle verginali rose
6
, poiché la natura invidiosa non vuole offrirgli altri
elementi da cui estrarre colori migliori. Le guance che devono essere rese ancora più belle
dell'Aurora
7
, è un altro modo che Carrillo utilizza per mostrare non solo la difficoltà di
paragonare la bellezza di questa figura alata a qualsiasi altro termine di paragone presente in
Natura, ma per riuscire a riflettere perfettamente quella che Muñiz (2014:175) avrebbe
definito “la hipérbole de la victoria de belleza femenina sobre sus comparantes metafóricos
“. Vale la pena sottolineare che l'immagine dell'alba, già presente in Petrarca ("Quand'io
veggio dal ciel scender l'Aurora/ con la fronte di rose et co' crin d'oro" (Rvf, 291,1-2) e in
precedenti immagini bibliche e greche (Muñiz, 2014: 155), compare spesso nella poetica di
Carrillo per dare maggiore luminosità al soggetto del tema poetico.
Passando alla descrizione del naso, è interessante notare che è un aspetto facciale che
normalmente viene omesso nella descrizione del canone breve e che Carrillo, includendolo,
mostra una vicinanza al canone boccacciano che (riprendendo i modelli medievali), utilizza
parti del viso che non appaiono nel Canzoniere di Petrarca (Muñiz, 2014:153). Lo studio
pittorico del naso della bella figura angelica, in Carrillo, occupa una strofa intera. Sarà bianco
come la neve e dovrà indurre l’osservatore a guardarlo solamente una volta:
“Haz la nariz afilada
de color de blanca nieve
que el alma y los ojos lleve
de sola una vez mirada.“ (vv. 101-104)
Il termine “afilada” riferito al naso è stato utilizzato (anche se non è stato il primo) da
Boccaccio nelle sue Ninfas florentinas, distinguendosi così con altre due espressioni frequenti
e usate maggiormente al tempo: "recta" e "proporcionada". In particolare, quest'ultimo
appellativo era preferito perché veniva utilizzato per “las codificaciones doctas“ e veniva
“reforzado a menudo con la fórmula «ni poco ni mucho»“ (Muñiz, 2014:160). In Carrillo y
Sotomayor si trova spesso l’aggettivo “afilada“ (v. 101), riferito al naso, come la
6
Questo è un altro termine che serve a rafforzare il valore dell'onesdella figura.
7
Basti pensare alle numerose composizioni di Carrillo in cui compare questa immagine: las dos redondillas
«Sale la Aurora y hermosa», «Tened, ojos de mis ojos», soneto XVIII, Canción II, XV, Égloga I.
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Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
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specificazione “chica no, si moderada“ (v. 105) che contribuisce notevolmente a rafforzare
l’idea di armonia che può nascere solo da una corretta proporzione.
Successivamente, attraverso una bellissima metafora poetica, descrive le narici: due
finestre dalle quali esce un’aria che ricorda il profumo del Paradiso.
“[...] y dos ventanas en ella
cada cual rasgada y bella
por donde se tenga aviso
del olor del paraíso.“ (vv. 106-110)
Le labbra e i denti vengono dipinti nella strofa XII, che è, insieme alla strofa IV, dove più
sono presenti immagini “cliché” della donna. Quelle che compongono l'arcata dentaria difatti
sono “guijas lucientes “(v. 111) o perle orientali e i più fini coralli vengono impiegati per
creare le labbra. Carrillo con questi versi presenta una visione indubbiamente stereotipata
che non si allontana dal modello femminile del Rinascimento; un'immagine di donna che
compare anche in composizioni di altri poeti del secolo come Góngora, Quevedo, Lope,
Francisco de Figueroa e molti altri, ma è importante notare la decisione di scegliere la variante
metaforica del gusto marino: perle e coralli, già utilizzati da De Jennaro “fine perle tra coralli“
(CXIII 3-4) e da Bembo nel suo Asolani in contrapposizione ai più comuni rubini e perle
come forma di comparazione (Muñiz, 2015).
Nella decima che stiamo analizzando anche la lingua sarà ritratta, dovrà fingersi essere
all'interno della bocca e da essa non potranno eludersi le grazie che in possiede e che
risiederanno nel suo esatto centro; e qui il poeta inserisce di nuovo un riferimento mitologico,
le nove muse ispiratrici dell'arte, figlie di Zeus e Mnemosine, vale a dire: Calliope, Clio,
Melpomene, Euterpe, Erato, Poliminia, Thalia, Urania, Terpsichore. Inoltre, la lingua ha tre
funzioni: insegnare, divertire e commuovere “enseña, deleita y mueve “(v. 117). Un
riferimento, quello della lingua, a cui potremmo ricollegare l'idea di poesia già espressa dal
poeta di Cordova nel suo Libro de erudición ovvero la convinzione che la Poesia non sia solo
una forma di diletto ma anche conoscenza e fonte di insegnamento
8
. A questo proposito,
Angelina Costa (1987:45) scrive che Carrillo, dai versi 115-120:
“Resume uno de los ejes de la teoría de Horacio que había añadido a la consideración
aristotélica de que fin de la poesía es el "deleite", el de la "utilidad". Traduce el docere y
delectare, conceptos a los que agrega el de movere, cualidad propia de la oratoria, a la que
alude metonimicamente en "lengua".“
Del resto, l'idea di collegare l'immagine della bocca (labbra e denti) con quella delle parole
era già diffusa nella poetica del XVI secolo e trova ancora una volta uno dei suoi iniziatori in
Petrarca quando, nei Rerum vulgarium fragmenta, scrive "La bella bocca angelica, di perle/piena
et di rose et di dolci parole" (Rvf, 200, 10-11). Secondo la ricercatrice María de las Nieves
Muñiz (2105), questa immagine era una delle più imitate, perchè “ […] permet d'additionner
la beauté physique et la beauté morale en présentant la partie la plus sensuelle du visage
comme la source des sublimes expressions de l'âme“.
Passando allo studio delle strofe XIII e XIV, esse descrivono rispettivamente il collo
bianco e le bianche mani della figura ritratta. Il primo elemento è spesso citato nelle poesie
di descrizione femminile per il fatto che il collo è contiguo ai capelli (Muñiz, 2014:154); nella
decima che stiamo analizzando, Carrillo y Sotomayor lo compara a una forte torre e ad
un’armeria. Il “divino cuello“ (v. 124) dev‘ essere creato a partire dai colori e dalla materia
8
Questa teoria è presente anche negli scrittori latini come Orazio che nella sua Ars Poetica afferma: «Omne tulit
punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando pariterque monendo» (342-343).
Alice Migotto
fornita al pittore dall'avorio e dall'alabastro, elementi splendenti che danno l'idea del candore
ma anche della durezza e della forza.
Il poeta continua poi ricorrendo all'utilizzo di un ampio repertorio di termini che si
riferiscono al mondo della guerra: come torre, armeria, batteria, castello, barriera e galleria,
che contribuiscono ad aggiungere diverse interpretazioni a questi versi.
Il primo significato che si potrebbe trarne da una prima lettura, se si mette in relazione la
figura femminile descritta con la parola "castello" (v. 128), è quello di una donna sprezzante
che rifiuta l'amore del suo amante. Questa ipotesi è rafforzata dall'idea di un collo-armeria e
di "torre fuerte" (v. 126) inespugnabile, che è una metonimia per indicare la donna ma anche
per evidenziare (pensando ai numerosi versi analizzati in cui il poeta desidera che il pittore
mantenga nella figura il decoro che merita e che le è dovuto) una figura angelica lontana, a
volte irraggiungibile. In realtà, il significato sembra essere più complesso e si deve tener conto
del fatto che il poeta e l'artista compaiono in questa parte del testo attraverso il pronome
"nos" (v. 127) e l'aggettivo "tu" (v. 128). Per spiegare meglio questi versi enigmatici, è
necessario analizzare ognuna delle parole utilizzate da Carrillo, facendo uno scarto sul loro
significato terminologico per fare luce sulla comprensione dei versi.
“Y, si el amor quiso hacello
torre fuerte y su armería
para darnos batería,
hazle tu castillo fuerte,
barrera contra la muerte
y vistosa galería.“ (vv. 125-130)
«Dar batería», per esempio, era una locuzione usata in passato appartenente alla
terminologia militare e significava attaccare una piazza (fortificazione destinata alla difesa
della popolazione) o un esercito, in altre parole, " combatir una plaza o un muro" (DLE) nel
senso di demolire. Si noti che in Carrillo y Sotomayor questa espressione è nella forma passiva
"darnos batería" (v. 127).
Nella strofa successiva si passa alla menzione del castello come forma di "barrera" e, in
effetti, come è noto, questa era in origine la sua funzione: difendere dagli attacchi esterni,
essendo il castello un luogo di protezione e di riparo dalla morte e dalla distruzione causate
dai nemici. È utile aggiungere che il castello è già un termine che rimanda a tutto un mondo
semantico particolarmente rilevante per il mondo occidentale, come spiega Isabel Hernando
Morata (2016) nella sua analisi dell'opera Las Moradas (1577) di Santa Teresa de Ávila, in cui
la santa associa il castello all'anima, affermando "es considerar nuestra alma como un castillo
todo de un diamante u muy claro cristal" (I, 1, 211-212). Un concetto, quello del castello
come dimora dell'anima per proteggersi dai pericoli e dagli inganni dei vizi e delle tentazioni,
che ricomparirà in autori come Calderón de la Barca nell'allegorico auto sacramentale A la
divina Filotea (vv. 145-150 e 371-382).
Anche la parola "galería" (v. 130) è un termine ricco di significati, e nella decima di Carrillo
ha una valenza che la collega al mondo della guerra e all'architettura militare, infatti si riferisce
al percorso sotterraneo che veniva utilizzato per le comunicazioni in caso di attacchi o per la
difesa.
Tutte queste definizioni permettono una spiegazione più ragionata dei versi finali della
strofa XIII. Carrillo y Sotomayor sembra voler affermare che è lui stesso a doversi proteggere
dagli attacchi d'amore causati dalla donna amata e non il contrario. Seguendo questo
ragionamento, il collo della donna (la sua "torre fuerte", v. 126) potrebbe essere interpretato
simbolicamente come una struttura militare: una torre d'attacco più che di difesa, o meglio,
una torre d'assedio che, se sfonda le mura del castello dell'uomo (il suo cuore), gli porterà
sofferenza e morte.
81
Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
Per rafforzare la mia tesi è importante notare che in numerosi componimenti e nelle
lettere del poeta di Cordova, soprattutto nei sonetti, l'amore è una forza distruttiva che lega
e non lascia andare, l'amore è un dio che genera sofferenza e a cui non c'è rimedio.
Prima di proseguire con lo studio della decima, però, è opportuno soffermarsi su un
dettaglio importante. Nonostante l'utilizzo e la creazione di analogie con il mondo della
guerra e dell'amore, il poeta -ancora una volta- non sembra prescindere dall'aspetto più
artistico. Nei versi appena analizzati, infatti, è evidente un aspetto artistico-architettonico non
solo nel rapido e momentaneo cambio del ruolo di Ragis da pittore a metaforico costruttore
del castello interiore del poeta (dove l'espressione "tu castillo" (v.128 ) sembra essere più un
riferimento indiretto al poeta che al pittore), ma anche grazie alla curiosa espressione "galería"
(v.130). Questa parola ha, come già spiegato, un significato militare, ma ha numerose altre
estensioni semantiche, tra cui la definizione della Real Academia, che definisce la galleria
come "pieza o corredor largos y espaciosos, con muchas ventanas, o sostenidos por
columnas o pilares" (DLE) e potrebbe anche riferirsi all'adarve, il camminamento usato nelle
fortezze per la difesa. È molto probabile che l'ingegnoso poeta di Cordova intendesse dargli
questo significato, comunque, nel suo studio sulle gallerie, la ricercatrice Lilia Maure spiega
come, a partire dal XIV secolo, i castelli persero il loro ruolo difensivo e i camminamenti
divennero, in molti casi, e grazie a ristrutturazioni, più simili a passerelle che andavano a far
parte delle facciate esterne come nuovo motivo ornamentale (Maure, 2010:10).
Al giorno d'oggi il termine galleria si riferisce per lo più al significato di "lugar,
normalmente con salas intercomunicadas, donde se exponen obras de arte " (DLE), allo
stesso modo durante il Secolo d' Oro, dal XVI secolo in poi, "tanto la logia abierta como la
galería cerrada fueron el lugar de coleccionismo y [...] exposición artística" (Maure, 2010:2).
Penso quindi che non sarebbe così inverosimile pensare che il nostro poeta avrebbe usato
l'espressione "vistosa galería" (v. 130) anche giocando con un senso artistico in diretta
correlazione con il contesto dell'intera poesia e come forma di elogio del ritratto e del lavoro
dell'artista. Al lettore libero spazio interpretativo.
Proseguendo con analisi della poesia, si vedrà che ciò che accomuna l‘ "hermoso y divino
cuello" (v. 124) e le mani, è il bianco dell'incarnato che il pittore deve prendere direttamente
dal mondo delle pietre preziose. Gli elementi dell'avorio e dell'alabastro vengono quindi
utilizzati per dipingere il collo e quelli del cristallo, del marmo, dell'argento e della neve,
mescolati al latte per colorare le mani, che vengono baciate dagli angeli come gesto di
riverenza.
“[...] tales que los soberanos
ángeles dellas se admiren
y con respeto las miren
y se las besen ufanos.“
È da notare che nei primi versi della strofa XIV è frequente la ripetizione dell'avverbio di
paragone "más" che, molto presente in tutto il componimento (tanto da comparire 19 volte!),
serve a esprimere l'inesprimibile e a mostrare la difficoltà del linguaggio nel descrivere tutta
la divina bellezza della donna. Nemmeno aggettivi come bello o stupendo bastano a esaltare
pienamente gli attributi fisici e morali della donna "y harás sus mejillas [...]/ más hermosas y
más bellas" (v. 100); nemmeno gli elementi offerti dalla "naturaleza avara" (v. 97) sembrano
sufficienti per l'audace impresa dell'eroe-pittore che deve scegliere non solo la neve, ma "la
nieve más helada" (v. 131) non il cristallo, ma "el cristal más fino y claro" (v. 132) o "la plata
más cendrada" (v. 134) e così via.
82
Alice Migotto
Dai versi 141 a 150 viene descritto il movimento della figura, che viene presentata con la
mano destra alzata verso il cielo
9
a dimostrazione "que viene de Dios todo el bien que tiene"
(v. 143) e con la mano sinistra regge uno scettro d'oro, mostra del potere e del comando che
il personaggio divino esercita sui potenti della terra e sullo stesso dio alato Cupido.
“quien puede y debe poner
al mismo Cupido leyes,
y a quien los grandes y reyes
se precian de obedecer“ (vv. 147-150)
Passando allo studio delle strofe XVI e XVII, si nota subito che si tratta di parti testuali
che mostrano l'interesse (oltre che una certa conoscenza) di Carrillo per i colori e le pietre. Il
poeta chiede a Ragis di abbandonare le tonalità abituali per realizzare un abito elegante che
possa, nel rispetto del decoro, coprire il corpo, "el mayor tesoro" (v. 165), del personaggio
alato.
L'abbigliamento, contrariamente alla tonalità chiara utilizzata per la pelle, deve essere
realizzato con colori variegati e tonaliforti che appartengono sia allo spettro dei colori
freddi che a quello dei colori caldi. Lo stesso Lomazzo, nel Trattato dell'Arte, scrive che
l'arcangelo Gabriele ha una "vestimenta di puro colore", cosa che sembra caratterizzare anche
la figura angelica dell’opera di Carrillo, che deve indossare: rosso (colorado), viola, verde,
giallo (gualda), turchese e oro, colori ancora una volta rubati alle pietre preziose. All’interno
della composizione erano già stati individuati nomi specifici di gemme, a cui ora si
aggiungono ametista, topazio, zaffiro e oro, per un totale di dieci tipi diversi di pietre
incastonate nel poema.
È noto che durante tutto il Rinascimento ci fu un grande interesse per i minerali, tanto
che furono pubblicati libri come De las virtudes y propriedades maravillosas de las piedras preciosas
(1598) di Gaspar de Morales, una passione diffusa anche tra i classici e presente nel Medioevo
dove “la riqueza del color y el brillo de las gemas [...] eran signos de poder y motivo de deseo
de maravilla“ (Ojea Fernández, 2019).
Nel periodo barocco, questa tendenza alla gemmologia si ritrova soprattutto in quelle
poesie in cui le pietre preziose venivano utilizzate come elementi di paragone per elogiare la
bellezza della donna nei poemi. Un buon esempio di questo sono alcuni sonetti di Quevedo
come «Esa color de rosa y azucena» dove la donna presenta “boca de rubís y perlas llena“ (v.
4) e una “mano alabastina“ (v. 5) o la composizione «A Amarili, que tenía unos pedazos de
búcaro en la boca y estaba muy al cabo de comérselos» (CCIV b), i sonetti di Góngora «No
de fino diamante o rubí ardiente» e «Mientras por competir con tu cabello», che mostra i
capelli “oro bruñido“ (v. 2) della giovane dal collo “del luciente cristal“ (v. 8) o il sonetto «De
pura honestidad templo sagrado» (soneto LXXXVI), nel quale l’autore “da forma a la belleza
sirviéndose de un atuendo literario inundado de color, luminosidad y armonía“ (Ojea
Fernández, 2019). Carrillo y Sotomayor, allo stesso modo, adorna il poema con colori e luci
in linea con il gusto col gusto coloristico del suo tempo e, facendo leva sulle sfumature offerte
dalle pietre rare, riesce a intagliare un gioiello poetico molto raffinato.
Nello studio "La presencia de las piedras preciosas en los libros de caballerías a la luz del
lapidario de Gaspar de Morales", Tomasa Pastrana Santamarta (2014) descrive le gemme
presenti nei libri di cavalleria ed è interessante notare come molte di quelle elencate e descritte
compaiano anche nella decima di Carrillo, come il rubino, il cristallo, lo zaffiro e il turchese.
... questo non vuol dire che il poeta conoscesse o utilizzasse come riferimento trattati come
quello di Morales o i libri di cavalleria, ma dimostra probabilmente la sua conoscenza di
9
In questi versi c'è una rappresentazione iconografica della figura alata con il dito alzato frequente nella scena
dell'Annunciazione; tuttavia è interessante notare che il gesto non viene spiegato nel poema come una forma
di glorificazione di Dio, ma piuttosto in chiave autoreferenziale per dimostrare che lui, l'Arcangelo (cioè la
stessa signora del ritratto) è una creazione divina.
83
Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
alcuni tipi di pietre (comuni all'epoca) e l'interesse nell'aggiungerle al suo poema, creando una
decima piena di colore e luminosità.
Terminata la raffigurazione pittorica che il soggetto della tela (o tavola) dovrebbe avere, il
poeta prosegue con la sua lode nella strofa XVIII attraverso una serie di sinonimi
accompagnati da aggettivi quali: pellegrino, divino, sovrano per poi riuscire ad avvicinare
l'immagine divina da quel lontano trono celeste alla realtà più soggettiva e personale
dell'inventore o meglio dell'ideatore (in italiano "chi idea o ha ideato" Garzanti) della figura
grazie all'utilizzo dell'aggettivo "mi" (v. 176).
Il termine "idea" (v. 178) si riferisce a un concetto che richiede ulteriori spiegazioni. Come
scritto sopra, Ragis deve creare un ritratto prendendo come primo modello la donna in carne
e ossa e ricrearla nella sua mente prima di metterla sulla tela come figura devozionale.
“No traces ni hagas bosquejo
de ésta admirable pintura
sin mirarte en la hermosura
de quien ella es luy y espejo“ (vv. 21-24)
Ciò dimostra, da un lato, una concezione barocca dell'arte come raffigurazione che deve
essere verosimile alla realtà, teoria condivisa anche da alcuni poeti del XVI secolo come
Fernando de Herrera che, nelle sue Anotaciones, trova nella pittura la chiave per presentare al
senso della vista le "cosas corpores i especies visibles" (Herrera, 1580: 675) e, dall'altro, il
pensiero manierista che mostra l'importanza della concezione mentale (l'idea o il concetto)
dell'immagine prima della sua realizzazione plastica, concetto che si ritrova nelle teorie
platoniche degli artisti del Cinquecento quando, proprio a quella nozione di idea, venne dato
il significato di "operación mental que precede a la ejecución práctica de la obra, o sea al
concepto intelectual" (Gargano, 2012).
Con il suo mezzo espressivo, il pittore si fa testimone e messaggero nel suo presente e nei
secoli a venire della bellezza della donna; non sarà un'impresa facile, tuttavia se la sua abilità
gli permetterà di realizzare una copia degna di essere eternizzata, Carrillo gli chiede con forza
che allo stesso ritratto sia data la sua anima immortale di scrittore innamorato "que está
menos donde anima/ que donde ama" (v. 188), una frase che richiama l'idea già espressa da
San Juan de la Cruz nel suo ntico Espiritual (canción VIII), ossia che l'anima risiede dove si
trova la persona amata.
Nella strofa che chiude la prima parte della decima, il poeta sembra esprimere, con quel
grido di dolore "¡ay!" (v. 191), un certo disincanto di fronte alla possibilità di dare vita e anima
all'opera inanimata, perché né la sua inclinazione né il suo desiderio basterebbero a renderlo
possibile. Il poeta spera allora nel "honroso atrevimiento" (v. 197) del pittore che, se non
riuscirà a vincere questa sfida, almeno ci proverà. Con questo "loco devaneo" (v. 191) e
questo spiraglio di speranza si conclude la prima parte dell'opera pitto-poetica.
Seconda parte della decima
Se finora è stata sottolineata la divinità dell'arcangelo e quindi della donna ritratta, la sua
bellezza estetica e morale e la sua immortalità come figura religiosa, eternizzata dall'arte, nella
seconda parte della composizione, pur continuando l'esaltazione della bellezza divina della
donna, compare anche la visione pessimistica del periodo barocco con la presenza del tema
della brevità della vita e del trascorrere del tempo.
In "Al original del retrato" il poeta saluta Doña Gabriela de Loaisa con un acrostico e
nella prima strofa (sarebbe la XXI dell'intero componimento) le dichiara tutto il suo amore,
scrivendole che a lei, "gloria y belleza del suelo" (v. 205), dona "alma y vida y corazón" (v.
209). I doni (l'amore e la vita stessa) dovrebbero essere accettati dalla donna come
un'offerta
84
Alice Migotto
85
e con un atteggiamento benevolo ("con rostro humano" (v. 206), motivo per cui Carrillo, tra
parentesi, cita l'aneddoto di Serse che, si dice, ricevette dell'acqua da un villano.
La vicenda del re persiano a cui si fa riferimento nella decima è l'episodio del "Villano
del Danubio" che, come spiega Américo Castro nelle note alla sua edizione
10
(1975), fu
un'invenzione dello scrittore Antonio de Guevara in uno dei suoi libri più noti, Marco Aurelio
e che verrà successivamente ripreso in altre opere come, ad esempio, nel prologo alla
rappresentazione della commedia di Tirso de Molina El vergonzoso en palacio e nella dedica del
poeta italiano Gian Battista Marino a Concino Concini, il maresciallo D'Ancre (1569-1617),
nelle sue Lettere del cavallier Gio.Battista Marino: gravi, argute, famigliari (1673) dove, dopo aver
elogiato il politico (e in parte l'arte della poesia, definendola "utile e dilettevole"), gli scrive di
accettare i suoi scritti "come Serse gustò l'acqua, non guardando, che la presentava un
villano".
Secondo Marino, chi riceve il dono dovrebbe avere più rispetto per la ricchezza d'animo
del donatore (lo scrittore) che per la povertà del suo stile, privo di perfezione. Carrillo sembra
procedere in modo parallelo quando chiede alla donna (che, come Serse, è identificata come
figura regnante e in posizione di rilievo rispetto all'umile poeta) di ricevere i suoi beni più
grandi, presentando una costruzione su due livelli: il primo è l'immagine della donna
proprietaria che possiede il cuore e la stessa vita del suo amante (immagine che, in modo
analogo, compare già nella dedica del Remedio del Amor quando il nostro poeta afferma "Que
es mi dueño tu nombre" (v.40)) e il secondo è quello della devozione dell'uomo verso la
figura religiosa dipinta sulla tela, che coincide con la prima.
In «Al original del retrato» si passa da una prospettiva pittorica che vede la protagonista
come modella ad un ritratto che non è più dipinto da Ragis ma da Apollo stesso attraverso
le sue parole "o en verso o en prosa" (v. 216). In questi versi risuona l'eco del tema della
poesia come pittura parlante e al dio della mitologia classica viene affidato l'importante
compito di descrivere (non più dipingere) la donna raffigurandola come una dea, non solo
"más que bella y hermosa" (v. 220) ma, in climax ascendente "noble, afable" (v. 219). Questi
aggettivi sono leggermente meno divinizzanti rispetto ai termini usati in precedenza, ma non
lasciano dubbi sull'alto grado di importanza religiosa e di beatitudine della donna ritratta.
Negli ultimi dieci versi, la stessa destinataria e musa delle due arti della decima strofa si
mostra sotto una luce diversa: si rivela una donna più terrena, addirittura vittima delle vicende
della vita e dell'imperativo scorrere del tempo.
“[...]Antes que al tiempo el olvido
Suceda y al sol la helada:
Antes que a tu edad dorada
La de plata encubra y seque
Un accidente y te trueque,
De cielo que eres en nada.“ (vv. 221-230)
Qui appare tutto lo stile barocco di Carrillo y Sotomayor che, affermando di voler
dipingere "esta deidad" (v. 222) per eternizzare la bellezza della donna prima che il tempo
faccia appassire il fiore della sua giovane età, insegna che ciò che può dare vita eterna e fama
alla bellezza sono solo le creazioni del pennello e della penna.
Il tema del carpe diem è presente in quest'ultima strofa: un monito alla fugacità della vita
che si riassume nella parola conclusiva e secca "nada" (v. 230). Questa ricrea una netta
divisione tra lo spazio eterno del cielo, l'immensa e celestiale bellezza della donna e la nuda
realtà terrena segnata dal tempo e dagli eventi che la fanno terminare il tutto in un "nada"
che si rafforza se pensiamo, come sottolinea Orozco Díaz, alla pronuncia andalusa di questo
10
In Tirso de Molina: El vergonzoso en palacio e El burlador de Sevilla (1975).
Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
pronome dove è frequente la perdita della [d] finale e che segna la conclusione di un verso
che "se va destruyendo en la articulación de sus sonidos" (1968:184).
In tutto il testo sono presenti numerose figure retoriche: personificazioni (quella del
significato, del pennello, del sole, dell'amore), l'uso frequente dell'iperbole, metonimie, l'uso
dell'asindeto, paradossi "aunque si ciega su fuego admira no daña" (v. 80) e contrazioni
(aquel, della(e)...). Si nota una descrizione estetica della donna in figura di arcangelo che
riprende immagini cliché dalle sfumature petrarchesca, e non mancano: enjambment, anafore
(nelle strofe XVIII e XIX), polisindeto (ad esempio al verso 208 con la ripetizione della
congiunzione /e/) e alcune similitudini.
Il poeta rivela il nome della donna ritratta attraverso le paranomasie dei versi 19 e 20 "que
LOA Y Salva la fama/ anunciando a su Mesía" e gli acrostici delle iniziali dei versi delle ultime
tre strofe che compongono un saluto alla donna amata: DOÑA GABRIELA DE LOAYSA
SALUD.
Bisogna mettere in evidenza che Carrillo y Sotomayor utilizza parole, sinonimi o avverbi
che si ripetono numerose volte già stata segnalata la ripetizione di /más/), come, in
particolare, gli aggettivi che si riferiscono alla bellezza e allo splendore, che compaiono nel
testo fino a 17 volte in termini come: hermosa/e, hermosura, hermosean, bello/i, belleza,
beldad.
Inoltre, poiché l'intera opera è un perfetto esempio di elogio della pittura, non possono
mancare parole legate a questo ambito artistico: pittura, dipingere, copiare, ritrarre e ritratto.
Molti altri termini si riferiscono agli strumenti del mestiere dell'artista: bronzo, tavola, lastra
e pennello, e attraverso l'uso di parole come: tracciare, abbozzare, incarnare... il poeta
dimostra di essere aggiornato sul "diccionario" dell'uso dei termini dell'arte pittorica del suo
tempo
11
.
Durante l’analisi è già stato scritto molto sui colori utilizzati nella decima, ma è utile
soffermarsi ancora una volta sull'importanza delle tonali chiare. Il bianco ha una
connotazione molto positiva in quanto è segno di semplicità, purezza e altezza (Lomazzo,
1584), conferisce luminosità al poema e rafforza la divinizzazione della figura religiosa. Anche
grazie alla ripetizione di parole come celeste e cielo (compaiono più di sette volte!), si crea
nella mente di chi legge la poesia un'immagine del soggetto dipinto che, con i suoi tratti di
delicatezza e beatitudine, si avvicina molto alle figure di altri dipinti di Ragis, come la
Inmaculada del Sacro Monte
12
o il delicato volto della Vírgen en Aparición de la Vírgen a San Jacinto.
Va aggiunto che con il tentativo del poeta di suggerire al pittore di catturare sulla tela
molte tonalità luminose, Carrillo y Sotomayor mostra un gusto estetico dell'arte, attraverso i
versi, quasi impressionista.
La bellezza che l' "Arcángel peregrino" (v. 172) in veste di donna doveva avere nella tela
cantata da Carrillo y Sotomayor si può immaginare solo leggendo l’opera poetica del giovane
poeta soldato, tuttavia, alcune caratteristiche fisiche come: i capelli biondi e ricci che
svolazzano "por el cuello y por la espalda" (v. 45), le guance rosee, le labbra di "finísimos
corales" (v. 113), il collo d'alabastro e slanciato, ed elementi di ornamento come lo scettro
d'oro e le pietre preziose dorate ricompariranno nei capolavori del genere "a lo divino" in
pittura come, ad esempio, nelle numerose sante dipinte da Zurbarán
13
, uno dei migliori
rappresentanti di questo genere, che ha ispirato e continua ad ispirare opere figurative e
plastiche di artisti del XX e XXI secolo.
11
Vedi analisi di Orozco (1968: 155-159).
12
Orozco (1968) si chiede se il ritratto di doña Gabriela potesse avere caratteristiche simili.
13
In epoca contemporanea, un buon esempio di moda modernizzata "a lo divino" che riprende le sante e gli
angeli dei dipinti di Zurbarán è la mostra che si è svolta nel Convento di Santa Clara a Siviglia nel 2013, grazie
al progetto dell'Istituto di Cultura e Arti (ICAS) e al gruppo BBVA, in cui alcuni stilisti si sono ispirati alle pose
e agli abiti delle sante di Zurbarán, attualizzandoli in modo molto creativo e ingegnoso.
86
Alice Migotto
Conclusione
Questa decima è un perfetto esempio di poesia visiva, forse una delle composizioni più
ecfrastiche dell'autore di Cordova, oltre ad essere un perfetto esempio di poesia che
appartiene al genere dei ritratti poetici definiti "a lo divino". Questi ritratti rivelano da un lato
la vanitas (Orozco, 1968: 179) di quel periodo e dall'altro l'ammonimento e la riflessione su
un tempus fugit e un carpe diem di sfumature barocche. La dama che Ragis si accinge a ritrarre
deve essere raffigurata come un Arcangelo seguendo la rappresentazione iconica dell'analogo
genere pittorico ma, al tempo stesso, con i canoni descrittivi più caratteristici della tradizione
petrarchesca. Inoltre, in alcune parti del poema, Carrillo mostra la volontà di far rispettare
certe forme di decoro in pittura, convertendolo da consigliere di Ragis, a quasi un supervisore
iconografico e un attento osservatore delle norme tridentine per quanto riguarda la
raffigurazione dei dipinti religiosi. Ma è soprattutto nella seconda parte della decima «Al
original del retrato» che il poeta andaluso mostra il pensiero filosofico barocco che, insieme
ad altre composizioni “a lo divino”, rivela la doppia sfaccettatura ingannevole del dipinto.
Questa eredità che il poeta ha lasciato alla sua Musa e che fortunatamente è giunta fino a
noi è più di una poesia è più di una tavolozza di colori: è una nobilitazione dell'arte come
evento concettuale e un elogio alla capacità pratica dell'artista (sia esso poeta o pittore) di
dare vita alla bellezza.
87
Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
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Appendice
DÉCIMA DE DON LUIS CARRILLO Y SOTOMAYOR A PEDRO DE RAGIS,
PINTOR EXCELENTE DE GRANADA, ANIMÁNDOLE A QUE COPIE EL
RETRATO DE UNA SEÑORA DEUDA SUYA EN FIGURA DEL ARCÁNGEL SAN
GABRIEL.*Questo verso è presente nella «Décima» di Carrillo y Sotomayor, ma non è stato
trascritto nella versione moderna di Emilio Orozco Díaz (1968).
90
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Il capolavoro della vistosa galleria pitto-poetica di don Luis Carrillo y Sotomayor
90
AL ORIGINAL DEL RETRATO
Divino Arcángel que al Cielo
Obscurece su hermosura,
Nublados desta pintura
A tu altar sirvan de velo;
Gloria y belleza del suelo
Admite con rostro humano
(Bien cual Jerjes del villano
Recibió el agua) este don
Y alma y vida y corazón
En fee que están en tu mano.
Las gracias de tu alma pura
A Apollo manda el amor
Describa con su primor
En verso de más dulzura;
Lo cierto es que en su escriptura
O en verso sea o en prosa
Abrás de ser bella diosa,
Y si Apollo verdad canta
Serás noble afable y sancta
Aun más que bella y hermosa.
Mi intento señora ha sido
En pintar esta deidad,
Sacar a luz la beldad
Increible que has tenido;
Antes que al tiempo el olvido
Suceda y al sol la helada:
Antes que a tu edad dorada
La de plata encubra y seque
Un accidente y te trueque,
De cielo que eres en nada.
Alice Migotto
91
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como tratado de iconografía“, Cuadernos de Arte e Iconografía, Seminario de Arte "Marqués de
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